La moneta e la numismatica celtica


Una introduzione sulla numismatica celtica, volta a colmare la lacuna di notizie su questa monetazione; infatti sia i manuali classici sia le opere riassuntive più recenti sulla monetazione antica di solito trascurano i Celti e la loro produzione monetaria.


GIANFRANCO PITTINI – PRESIDENTE CIRCOLO NUMISMATICO MILANO

Queste pagine intendono essere niente più che un’introduzione, volta a colmare la lacuna di notizie su questa monetazione; infatti sia i manuali classici (Ambrosoli-Ricci, ecc.) sia le opere riassuntive più recenti sulla monetazione antica di solito trascurano i Celti e la loro produzione monetaria. Visto che, d’altra parte, c’è molto interesse in Italia per le così dette dracme cisalpine, sembra opportuno inserire queste particolari emissioni in un contesto più ampio e comprensivo.


1. I CELTI NELLA STORIA

Questa popolazione, in base ai dati archeologici, può essere individuata con caratteristiche
definite a partire circa dal IX-VIII secolo a.C. (prima si può parlare di pre-celtismo).

Il 1° periodo della civiltà celtica si colloca quindi nella prima età del ferro, dal 750 a.C., e si
può associare grosso modo ai reperti archeologici definiti come “periodo di Hallstatt”. Si tratta
di un piccolo villaggio lacustre nella regione di Salisburgo, ove nel XIX secolo furono scoperte testimonianze abbondantissime e di straordinaria importanza, che diedero il nome a questa
fase della età del ferro (in particolare, i primi manufatti prodotti con questo metallo).

L’apogeo della civiltà celtica è successivo, verso il IV-III secolo a.C., e coincide piuttosto
con la seconda età del ferro, o “periodo di La Tène”; questo è un villaggio non distante da
Ginevra, con testimonianze archeologiche molto abbondanti e tipiche di tale periodo. Al
periodo lateniano appartengono per lo più anche le testimonianze celtiche rinvenute nella
pianura padana, che si sono sovrapposte alla precedente cultura “di Golasecca”(ove si erano
già avute infiltrazioni celtiche nei secoli precedenti).

3. ASPETTI DELLA SOCIETA’ CELTICA. LA LINGUA.

Si tratta di un popolo suddiviso in molte tribù, di svariate dimensioni, caratterizzate da forte spirito autonomistico e non disposte a/non in grado di organizzarsi in unità sociali più vaste; le uniche esperienze di alleanza o federazione avvennero durante la resistenza ai romani. Popolo di guerrieri, sviluppò però anche forme evolute di artigianato, oltre che allevamento del bestiame ed agricoltura. Molto importante il culto, condotto dalla classe sacerdotale dei DRUIDI; per entrare in essa era necessario un apprendistato di anni. Le formule ritualistiche e le tradizioni religiose venivano accuratamente memorizzate. I Celti non possedevano lingua scritta né un proprio alfabeto, ed utilizzarono (ad es. sulle monete) alfabeti altrui (greco, latino, nord-etrusco); ma dei riti e formule religiose era drasticamente vietata la redazione scritta.

Popolazione abituata alla lotta ed al culto della forza, fortemente legata alla natura nei suoi aspetti più selvaggi di “foresta”, agli animali selvatici (cinghiale, orso, lupo, serpente, spesso rappresentati sulle monete), a quelli domestici o semi-domestici (soprattutto il cavallo, raffigurato a volte cornuto, o con testa umana o testa di uccello, o alato…), con una mitologia che venne poi gradualmente mescolata ed assimilata a quella romana.

Moltissime erano le componenti magiche ed animistiche: essendo considerata la testa il ricettacolo dello spirito vitale, le teste dei nemici uccisi venivano legate alla sella del cavallo, o conservate in vario modo nella casa del guerriero, per trasmettere la forza ed il valore del nemico vinto. Molte teste raffigurate su monete sono da considerare delle teste mozzate.

Parole in alfabeto greco sono relativamente rare sulle monete, mentre ne esistono
moltissime in alfabeto latino (remogermanos indutillimaupennosardacisiambos
cricirv
turonoscarina, ecc.) ed alcune anche con lettere miste, greche e latine
(kasiosialkovesi,pooykacaloy ecc.).

4. CARATTERI DELLA MONETAZIONE CELTICA.

Si tratta di una monetazione prevalentemente, ma non esclusivamente, imitativa. Queste popolazioni usarono forme premonetali, a quanto sembra, analoghe agli antichi Greci, coi quali avevano avuto evidentemente dei contatti: spiedi di ferro e abbozzi di spade di ferro (peso: alcuni ettogrammi). Successivamente imitarono, nei diversi territori, le monete dei popoli vicini con cui avevano scambi e traffici: la monetazione d’oro e d’argento dei re di macedonia, la dracma di Marsiglia, la dracma di Rodi esportata e imitata a Roda, il denario romano (imitato in argenmto ma anche in metallo vile). Anche il discorso metrologico varia dunque a seconda delle zone, visto che occorreva avvicinarsi, con buona approssimazione, alle “monete-modello” anche nel peso. La Scheers ha tentato un approfondimento per la monetazione della Gallia in bronzo e potin, incontrando forti difficoltà per una notevolissima dispersione dei pesi. Nella Cisalpina, i confronti sono possibili prevalentemente con il Vittoriato.

Oltre ad oro, argento e bronzo, nel I secolo a.C. è stato usato diffusamente il così detto potin, una lega composta da rame, stagno, piombo in percentuali variabili, contenente anche piccole quantità, a seconda dei casi, di Ag, antimonio o manganese. Molti la considerano una monetazione di necessità, risultando essa abbondantissima nel periodo della coalizione anti-romana e delle guerre di Cesare; queste monete fuse, a volte un poco globulari, richiamavano vagamente l’argento, specie se lo stagno era molto abbondante. Ne sono state trovate grandi quantità ad Alesa e nelle altre zone dei principali assedi e combattimenti. Sono di frequente anepigrafi; le immagini prevalenti sono teste umane spesso molto deformate (grande te^te, te^te diabolique) e animali (cavallo, cinghiale, orso).

Ma la monetazione celtica è straordinariamente interessante dal punto di vista formale. Questi aspetti sono stati studiati sia da numismatici che da storici dell’arte: André Malraux, Ranuccio Bianchi Bandinelli (1956), A.Pautasso (1966 ecc.), recentemente Andrea Bignasca.

L’arte celtica, un po’ in tutti i settori, ha prediletto le forme curvilinee (come nelle decorazioni delle armi, dei torques, ecc.). Essa inoltre, anche sulle monete, ha una forte propensione per la distorsione degli oggetti in chiave astratta e simbolica, rifugge insomma dalle rappresentazioni realistiche e naturalistiche. Le emozioni sembrano prevalere sulla visione oggettiva, per cui i particolari più pregnanti e significativi vengono esagerati: gli animali hanno enormi zanne ed artigli, un cavallo al galoppo sembra spiccare il volo, il lupo spalanca le fauci in modo eccessivo e spaventoso, certe teste umane (forse di nemici uccisi?) hanno un occhio enorme, o un solo dente gigantesco, tanto da essere state definite “diaboliche”. In alcuni casi, dettagli naturali (es. una ciocca di capelli, o il vello del cinghiale) hanno subito una geometrizzazione crescente, e sono stati ripetuti molte volte, quasi si trattasse di una foto ad alto ingrandimento, tanto da essere del tutto irriconoscibili, assumendo un valore a sé stante e puramente formale.

Chi ha riflettuto su queste caratteristiche (es. Bianchi Bandinelli) ha contrapposto l’arte, ed anche il pensiero, celtici alla tradizione greco-romana, che è prevalentemente realistica e cerca di definire dei canoni sempre più adeguati di rappresentazione dell’oggetto. Nei celti invece la componente magico-mistica sembra prevalere, e lo sguardo dell’uomo è soverchiato da forze esterne (e interne) incontrollabili, che finiscono per dominarlo completamente. Tutto questo richiama potentemente tante forme dell’irrazionalismo contemporaneo.

5. LE MONETE NEI DIVERSI TERRITORI

Questa parte è volutamente sommaria, e intende tracciare poco più di un indice,
con notazioni molto generali.

A) GALLIA CISALPINA

In questa zona venne imitata la dracma pesante di Marsiglia (colonia focese), coniata a partire dal IV secolo, peso 3,7 g. Si ipotizza che alcune imitazioni precoci siano avvenute nella stessa Gallia: quelle italiche potrebbero essere imitazioni di imitazioni, ed iniziarono nel III secolo a.C.

Esse vengono suddivise da Pautasso (1966 e segg.), Arslan ecc. in molte tipologie: piemontesi, insubri, leponzie, venetiche, dei Boi-Cenomani, ecc. Al D., la testa femminile può mantenere in parte la buona qualità estetica dell’originale, o degenerare a forme rozze, o diventare appena accennata o illeggibile.

Al R., il leone mantiene a volte un aspetto naturalistico, o si trasforma in “leone-lupo”, o nei vari gradi del “leone-scorpione”, oppure viene dotato di lunghi artigli (forma venetica).

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Le più interessanti sono le trasformazioni della legenda: l’originale scritta in greco MASSA può essere grosso modo conservata, trasformarsi in SASSA (la sigma iniziale ruota di 90°), trasformarsi in tanti segmenti scoordinati o in tratti curvilinei, o essere sostituita da nuove scritte in alfabeto nord-etrusco (quelle riportate nel paragrafo 3). Altra evoluzione della dracma cisalpina consiste nell’alleggerimento e/o nel peggioramento della lega, che in molti esemplari del II e I secolo a.C. ha ormai un titolo di argento molto basso (circa il 50%).

Nei 3 secoli circa di emissione, la produzione di dracme cisalpine è stata molto abbondante. Il ripostiglio più famoso è quello di Manerbio, che conteneva circa 4500 esemplari, di cui quasi 1400 con legenda TOUTIOPOUOS. A Roma, in un ripostiglio, dracme cisalpine erano commiste a denari repubblicani. Alcune tipologie particolari sono state rinvenute al valico del Gran San Bernardo, mentre nell’alta valle del Rodano furono coniate imitazioni diverse, con scritte di tipo leponzio.

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Non poche dracme cisalpine sono state rinvenute in area danubiana, e sono ora conservate
al Museo di Budapest; le più “lontane” sono state trovate in Cornovaglia.

Monete d’argento di peso inferiore possono riportare al R sia l’immagine degradata del leone,
sia di altri animali: una c.d. pantera o lince, o un cervo. Ne è stato trovato un discreto ripostiglio
in Liguria (Serra Riccò), e molti esemplari sparsi: si tratterebbe non di oboli, ma di emidracme o quarti di dracma.

18. Gallia Cisalpina, probabile Quarto di Dracma, argento (ripostiglio di Serra Riccò, GE)


B) REGIONE ALPINA ORIENTALE E DANUBIANA.

In queste zone, la monetazione di riferimento fu quella macedone, aurea ed argentea; le
prime imitazioni si collocano all’inizio del III secolo a.C. La maggior parte di esse consiste in tetradramme di peso consistente, che imitano al D il ritratto di Filippo II, ed al R il cavaliere andante a destra od a sinistra; in alcuni casi, non resta che il cavallo. Questa tipologia ha
subito una lunghissima evoluzione, e partendo da forme sufficientemente simili al modello
si è passati ad esemplari sempre più semplificati ed astratti, fino a soluzioni formali che disgregavano completamente le immagini, di cui residuavano solo dettagli irriconoscibili,
ingigantiti e deformati (capelli, foglie di alloro della corona, ecc.)

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Vi è poi la serie derivata dalle dracme di Alessandro Magno e Filippo III; al D la testa è coperta
da leontea, più o meno deformata e riconoscibile, mentre al R la figura assisa di Zeus è molto spesso assai degradata o mal distinguibile.

Tutte queste monete sono in argento, e per lo più di buona lega. Molto spesso sono
leggermente o fortemente concave, per cui in territorio tedesco si parla per le tetradramme
di “Kugelreiter” (cavaliere a sfera), e per le monete più piccole di “Regenbogen-schuesselchen”, cioè scodelline dell’arcobaleno. La tradizione popolare voleva che esse venissero spesso trovate dopo le grandi piogge, alla base di un arcobaleno. Sono spesso lisce dal lato convesso, mentre
da quello concavo mostrano per lo più una serie di globetti, un torques o piccole immagini
del sole con 4 raggi.

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Le prime monete descritte sono state reperite abbondantemente in Transilvania, ma anche in zone molto più estese, dalla Boemia alla Germania Meridionale, dall’Ungheria all’alto Friuli.

Su molte di esse sono leggibili scritte in alfabeto greco o latino (DHMHT, BIATEC, BUSU), a volte complesse e simili a quelle originali (HRAKLEOYS SOTHROS); laddove la scritta non imita quella della moneta-modello, si tratta probabilmente di etnonimi o di nomi del re o del monetiere.

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C) GALLIA TRANSALPINA

In questo settore è reperibile monetazione in oro, argento, bronzo e potin. Le prime coniazioni
sono probabilmente quelle auree ed argentee, queste ultime imitanti le dramme di Roda
(colonia di Massalia nella zona dell’attuale Catalogna). La produzione argentea successiva
imita invece i denari romani repubblicani (testa stilizzata su un lato, cavaliere o cavallo al
galoppo sull’altro). Anche la monetazione in oro, non molto abbondante, richiama a volte
questi temi; altre volte è molto geometrizzata, con pochi disegni astratti da una parte,
mentre l’altra è spesso liscia. Compaiono anche teste gianiformi e pegasi.

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La monetazione bronzea è abbastanza varia; in parte riprende i temi sopra elencati, inoltre raffigura tutto un “bestiario” celtico, di animali reali (cinghiali, cavalli, tori, orsi, lupi, serpenti, molti uccelli) o immaginari (centauri, grifoni, leoni alati, cavalli cornuti, pegasi). Anche in questo caso vi sono imitazioni di denari romani, spesso con legende latine, come già detto al paragrafo 3.

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Abbondantissima è la produzione in potin, con tesoretti e ritrovamenti sparsi soprattutto
nella Gallia Belgica (Ambiani, Eburones, Aduatuci, Treveri, Nervii, Remi, Leuci, Lingones,
Senones, Meldi, Suessiones, Bellovaci…) ma anche centrale e centro-orientale (Bituriges
Cubi, Edui, Sequani, Carnutes…) Si tratta di monete fuse, prodotte per lo più nel I secolo
a.C., come già detto al paragrafo 4; i particolari sono meno dettagliati rispetto al bronzo e
all’argento, a volte la fattura è decisamente grossolana, e le legende sono più rare.
Quando è presente molto stagno, la moneta può sembrare d’argento; se vi sono sali
di manganese, è nerissima e lucida.

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Molti di questi esemplari sono assai comuni, ma possono presentarsi in infinite varietà; altri sono molto più rari, come i tipi delle “svastiche” che raffigurano probabilmente il globo solare rotante, con raggi contorti o ripiegati.

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D) BRITANNIA

A partire dal I secolo a.C. si conoscono emissioni in oro e in argento, meno comuni quelle in bronzo. Le emissioni in oro (stateri) sembrano piuttosto abbondanti, e ricordano alla lontana le imitazioni balcaniche di monete macedoni: da un lato osserviamo una testa, a volte completamente deformata-destrutturata o resa con piccoli dettagli geometrici (serie ripetitive di segmenti o cerchietti o rombi, che richiamano la capigliatura o la corona d’alloro); dall’altro lato vi è spesso un cavallo, oppure disegni geometrici la cui origine è ormai indecifrabile. Sono per lo più anepigrafi. Altri stateri in oro, ad es. quelli del re Cunobelino (20 d.C.) contengono legende in lettere latine.

Le emissioni in Ag più note sono quelle degli Iceni, databili agli anni 40-60 d.C. Occorre
ricordare che, dopo una breve incursione cesariana nel corso delle Guerre Galliche, la effettiva conquista della Britannia avvenne sotto Claudio, nel 43 d.C.; tuttavia alcune popolazioni alleate
dei romani (fra cui gli Iceni) godettero di un’autonomia pressoché totale. Questa cessò con la
morte del re Prasutago (66-67 d.C.) dopo la breve rivolta capeggiata dalla vedova Baudicca;
si concluse allora anche la loro monetazione. Essa presenta spesso l’etnonimo, nella forma:
ECEN, ECN oppure ECE.

Uno dei denari più noti presenta figure geometriche sul D. (convesso) ed un cavallo al
galoppo sul lato concavo.

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E) IBERIA

Fino alla conquista romana (209 a.C.) sulle coste mediterranee della Penisola Iberica, ma anche oltre le Colonne d’Ercole, erano presenti numerosi insediamenti cartaginesi, con la relativa monetazione (Gades, Ebusus).
Vi erano inoltre alcune colonie greche, forse filiazioni di Massalia (Rhoda, Emporiae). Queste presenze antiche influenzarono variamente la cultura, l’assetto geo-politico e la monetazione della penisola iberica. La presenza celtica era prevalente al Nord e nell’interno. Occorre tener conto che, nel mondo mediterraneo e soprattutto nel periodo romano, questo territorio era in assoluto la maggior fonte di minerali metallici e di metalli preziosi, necessari per la produzione monetale.

A partire dal II-I secolo a.C. si sviluppò una produzione monetaria comunemente definita “celtiberica”; essa presenta parziali caratteri di autonomia, ma rivela sul piano iconografico anche un’influenza romana. Siamo sicuramente ben lontani dalla varietà e libertà della produzione gallica o britannica; la serie qui è piuttosto ripetitiva (sia per l’argento che per il bronzo): una testa maschile sul D. circondata da lettere o animali stilizzati, ed un cavaliere sul R. Sotto al cavaliere compare l’etnonimo, in alfabeto iberico, che permette di differenziare le monete delle singole tribù (OSCA, BALSIO, AREGRAT, CELSA, ecc.) Alcune altre tipologie sono meno comuni: il pesce o la spiga (Emporia), il toro ed una sfinge “celtica” piuttosto originale a Castulo.

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6. ASPETTI METROLOGICI

Gli studi su questo tema sono davvero sporadici. In generale, si può dire che le monete di imitazione utilizzavano lo stesso metallo dei modelli e, inizialmente, erano grosso modo dello
stesso peso (in caso contrario, gli scambi e l’uso “misto” delle monete sarebbe stato impossibile).

Col passare del tempo, tuttavia, si assisteva ad una caduta nei pesi e spesso anche nel titolo di fino; anche questo processo però si rapportava in qualche modo alla monetazione dei vicini.

Nella Gallia Cisalpina, ad esempio, le dracme più antiche e più pesanti a noi note corrispondono circa alla metà del quadrigato (cioè 6,6 g: 2 = 3.3 g). Seguono gli esemplari più diffusi e più leggeri , che gradualmente perdono peso allineandosi alla dracma leggera (2,70 g) ed al vittoriato (che pesava inizialmente circa 3 g). Tra i vari sottotipi, quelli con scritta leponzia (TOUTIOPOUOS) hanno peso più regolare e titolo migliore. Altri sottotipi hanno un titolo di Ag assai meno stabile e in rapida riduzione. Man mano che il vittoriato scende di peso e si equipara al quinario (2,20-2 g), le dracme cisalpine lo seguono (es. il tipo RIKOS). Con l’89 a.C. e la concessione della cittadinanza latina, le coniazioni cisalpine cessano rapidamente; forse non è un caso che venga prodotta da Roma fra il 97 e l’82 a.C. una gran quantità di quinari, di contenuto in argento ormai molto simile alle ultime dracme.

Fra le imitazioni danubiane, le prime si adeguano al peso delle tetradracme di Filippo II (14 g
o poco meno), poi si assiste ad una serie pressoché continua di pesi in riduzione, fino a 7 g.
Altre tipologie, come quelle rinvenute presso Vienna (Simmering hoard) si attestano intorno ai
2,5 g, il che fa nuovamente pensare piuttosto al vittoriato, considerata la zona di produzione.

Per quanto riguarda le monete della Gallia in bronzo e soprattutto in potin, gli studi di Simone Scheers paiono indicare una totale anarchia dei pesi (occorre ricordare che il potin era fuso,
e spesso le alette non venivano staccate dalla moneta); la tipologia “rameau” presenta pesi
da 1,47 a 7,22 g., e in un altro tipo la dispersione dei pesi va da 2,71 a 6,43 g!

Per l’articolo completo nelle sue parti storiche, visitare il sito del Circolo di Milano: https://ccnm.it/?page_id=20

 

** Enciclopedia Treccani