Carlo Magno inventò il denaro pesante


Il passaggio dalla valuta aurea a quella argentea effettuato con le riforme monetaria dei
re Pipino e Carlo Magno era considerato un arretramento della evoluzione monetaria europea. Ma vi sono molte valide obiezioni a ciò da carte di chi considera l'epoca carolingia ancora viva sotto il profilo dei commerci e della circolazione di monete.



La lira nacque circa dodici secoli or sono e nacque "pesante". Devo spiegarmi. Sul finire del secolo VIII, Carlo Magno, che aveva radunato nelle sue mani un vasto impero comprendente l'Italia settentrionale, estese alla penisola una riforma monetaria imperniata su una nuova unità monetaria, il denaro d'argento dal peso di circa 1,7 grammi alla lega di circa 950 millesimi. Era una monetucola bruttina e sottile, che ben si accordava con l'arretratezza economica del tempo. L'Europa cristiana (quindi ad esclusione di buona parte della penisola iberica, che era allora sotto l'occupazione arabo) era allora un'area economicamente quanto mai, diremmo oggi, sottosviluppata: non solo sottosviluppata in senso assoluto, ma anche in senso relativo, perché di gran lunga meno evoluta delle contemporanee società bizantino, araba e cinese.

Dopo la caduta dell'Impero romano e dopo l'avanzata musulmana, l'Europa occidentale era progressivamente precipitata a un livello di "barbarie" economica che per noi oggi è difficile da immaginare. Il "mercato" era andato a catafascio. Il ladrocinio e il donativo si erano sostituiti agli scambi. La società s'era frantumata in una miriade di microcosmi agricoli, dove l'individuo produceva quello che consumava, in un ideale di quasi completa autosufficienza. Le città erano praticamente morte. Quei pochi che erano a conoscenza del fenomeno guardavano attoniti a Venezia, propaggine in Occidente del mondo bizantino, i cui abitanti riuscivano a vivere "senza arare, senza seminare, senza vendemmiare", come nota con accento di stupore un documento.


"In queste condizioni, l'usa e l'utilità della moneta metallica s'erano drasticamente ridotti. A che pro ricevere moneta se poi non si trovava da acquistare ciò di cui si aveva bisogno? La domanda di moneta a scopo di transazione cessò quasi del tutto. Rimase la domanda di moneta a scopo precauzionale, di cui sono testimonianza i tesori e tesoretti dell'epoca. Ma anche come "serbatoio di valore" la moneta metallica non era la soluzione migliore: meglio i gioielli, che almeno avevano un valore d'uso.

Quel poco di scambi che si faceva, si svolgeva nei mercati settimanali o nelle fiere annuali che si tenevano all'ombra di qualche grosso maniero, o di qualche grossa abbazia, o in una delle rare città dove una larva di vita cittadina continuava grazie non a una attività di scambio, ma alla presenza del vescovo o del palazzo imperiale. Ma anche in queste fiere settimanali o annuali il mezzo di pagamento usato non era sempre la moneta. Spesso si faceva ricorso al baratto, cioè merce contro merce. E' su questo sfondo di desolazione che va vista la riforma monetaria carolingia."

La parole di Cipolla ricalcano abbastanza le tesi di H. Pirenne scritte a fine Ottocento, secondo il quale l'epoca carolingia fu un recesso dall'economia monetaria a quella naturale, gli scambi scendevano, i commerci erano al minimo ecc... il feudalesimo riduceva tutto a piccoli sistemi chiusi senza comunicazioni tra loro.

"Il misero denaro d'argento venne a rappresentare l'unica specie monetale d'ordinaria circolazione. Occasionalmente poteva capitare di imbattersi in qualche moneta bizantina o in dinar o dirhem arabi, ma si trattava di casi isolati."

Un'altra corrente di studiosi tra cui Alfons Dopsch è stato uno dei portavoce principali, contestano queste "vecchie teorie" e semmai indicano il periodo del X secolo come peggiore dal punto di vista economico e monetario. D'altronde le prime svalutazioni del denaro iniziarono proprio nel X secolo. 

Vi fu veramente nel periodo carolingio un mutamento rovinoso della vita economica nei confronti dell'epoca merovingia ? Seguì dappertutto un regresso verso l'economia naturale ?

Prima di tutto non bisogna tralasciare i risultati positivi e fino ad allora incontrastati della storia delle monete e del denaro. In realtà non è vero che con i carolingi fosse oramai scomparso tutto l'oro e per quel motivo fossero subentrate le monete d'argento. Già nel tempo dei merovingi e cioè fin dal VI secolo insieme con i coni aurei vi erano molte monete d'argento. Al tempo di Gregorio di Tours l'argenteus è la stessa moneta che nel VII secolo si chiamò denier (Maurice Prou 1892).*
Anche nel giornaliero movimento degli affari quali compravendita, commercio o credito, ci si serviva sin da allora dei metalli preziosi, anche a peso: libra argenti.

Non è meno erroneo credere che la monetazione aurea fosse completamente cessata al tempo dei Carolingi, fu lungamente conservata in Italia e altrettanto avvenne prsso i Frisi e i Sassoni come anche ad oriente verso i Bavari. La più decisa preponderanza della monetazione argentea è limitata alle Gallie e alla Germania occidentale: Il blocco del Mediterraneo ad opera degli Arabi non può dunque essere stato la causa che proprio là la moneta aurea perdette terreno e la moneta argentea avesse il sopravvento. La stessa causa avrebbe dovuto agire in Baviera e presso i Sassoni e i Frisi ma prima del tutto nel sud, in Italia e nel bacino del Mediterraneo.
In realtà nel periodo carolingio non avvenne nessun passaggio dalla valuta aurea a quella argentea ma piuttosto prima e dopo esistette una doppia valuta.

Un passo oltre di Dopsch

E' giustificata la conclusione che la preferenza data alla monetazione argentea equivalga ad un regresso del commercio nel periodo carolingio ? Già uno squardo gettato verso il nord e verso il sud vi avrebbe dovuto trattenere da una simile supposizione. Vi era allora in Inghilterra come in Spagna, un commercio considerevole, sebbene in entrambi i paesi dominasse la moneta d'argento.

Effettivamente anche tutti gli storici dell'economia prima del Pirenne (J. Falke, Inama-Strernegg, H. Pigeonneau, P.Huvelin, W.Vogel sino a J.W. Thompson) avevano ritenuto che il commercio fosse andato crescendo e si fosse ulteriolmente sviluppato proprio nell'epoca carolingia. In funzione di ciò non depongono soltanto considerazioni e osservazioni di indole generale, come quella del poderoso accrescersi della potenza politica dell'Impero Franco, il quale dovette agire come un incentivo del traffico.



Manca di fondamento la tesi del Pirenne che il nord avesse raggiunto grande importanza a causa della penetrazione araba e che perciò l'asse europeo si fosse rivolto verso il nord. Poichè l'Italia fu conquistata proprio nel periodo carolingio e con ciò si stabilì una via verso il sud proprio attraverso le Alpi, il che doveva non solo determinare l'indirizzo politico per secoli ma anche giovare allo sviluppo del commercio. Nel precedente periodo merovingio, al contrario, una tale penetrazione fu si tentata ma mai tradotta ad effetto. Anzi anche nella Gallia meridionale quella fascia costiera che era detta Settimania rimase in gran parte sotto il controllo dei Visigoti e fu per la prima volta guadagnata dalla Francia proprio sotto i re Carlo Martello e Pipino il Breve. Essi dominavano molto più ampiamente la costa mediterranea rispetto ai Merovingi, soprattutto dopo la conquista di Carlo Magno della marca catalogna oltre i Pirenei. Il dominio franco in Occidente fu, come nella penisola appenninica, sviluppato e spinto verso il sud, non verso il nord.


Uso delle unità di conto


Il denaro carolingio era l'unico pezzo di cui ordinariamente si potesse far uso e non aveva né multipli né sottomultipli: come se noi avessimo a disposizione solo il nominale di mille lire, senza spiccioli e senza multipli da 5.000, da 20.000, da 50.000, da 100.000. Sistema monetario, dunque, quanto mai rozzo, che rifletteva una situazione economica primitiva.

Se nei pochi scambi solo raramente si faceva uso della moneta, all'unità monetaria bisognava però far riferimento come unità di conto nel fissare i prezzi, censi, affitti, donativi, compensi vari, anche quando tali prezzi, censi, fitti, donativi sarebbero stati pagati non in moneta, ma in altra forma. Ed è qui che il denaro si dimostrò presto inadatto. Era troppo misero ed usandolo come unità di misura si finiva col dover fare uso di cifre troppo grosse. Cifre con molti zeri, diremmo noi oggi, ma allora gli zeri non c'erano, perché i numeri arabi non erano ancora arrivati in Europa e quei pochi che sapevano leggere, scrivere e far di conto, facevano uso dei numeri romani, il che rendeva ancor più complicata la manipolazione di cifre grosse. Si risolse il problema non mediante editti a misure di governo, ma per soluzione spontanea, ricorrendo alla creazione di una moneta di conto più "pesante". Non c'era allora sistema metrica decimale e il peso del denaro era determinato in relazione a un peso chiamato libbra: cioè a dire, nella riforma si era stabilito che da una libbra (peso) d'argento si dovessero ricavare 240 denari.

La gente, quindi, per semplificare le cose, invece di dire o scrivere 240 denari, cominciò a dire una libbra, invece di 2.400 denari cominciò a dire dieci libbre, e così via. La libbra cui inizialmente si faceva riferimento era la libbra-peso, ma presto divenne una unità monetaria di conto a sé stante, chiamata appunto lira: una unità di conto "pesante", cui si ricorse per semplificare le cifre troppo grosse, se espresse nella moneta corrente, cioè il denaro.


Quindi, la lira nacque come moneta di conto "pesante", ma non era destinata a rimanere tale. Nata come multiplo del denaro, era destinata a seguire le peripezie di quest'ultimo, il quale, come tutte le monete effettive, era a sua volta destinato nel corso del tempo a una progressiva svalutazione. In effetti, il denaro carolingio resistette per circa un secolo, grazie non tanto ad una fama politica monetaria, quanto piuttosto ad una situazione di ristagno economico. Col secolo X, però, le cose cominciarono a muoversi e in Italia più che altrove il denaro cominciò ad essere ridotto progressivamente sia di peso che di lega. La lira, ancorata al denaro dal rapporto fisso 1:240, si rese quindi sempre più "leggera", per cui già nel corso del Medioevo si dovette ricorrere a unità monerarie più "pesanti", quali il grosso d'argento, il fiorino d'oro e il ducato d'oro.

 

Mario C. Cipolla: " Le avventure della Lira".