Carlo Magno e la moneta carolingia


Fu con la riforma monetaria dei re carolingi Pipino e Carlo Magno che furono poste le
basi della storia monetaria europea. Ma essendo molto diminuito l'oro in Occidente,
Carlo fu costretto a liquidare il sistema monetario basato sul solido d'oro dei romani
e quindi a optare per un monometallismo argenteo.*



Lungo il Reno, la Mosa e la Mosella nel regno franco dei Merovingi fu ripresa nel VI secolo la coniazione di monete d'oro e agli inizi del VII secolo a Dorestad città posta sul Reno, si ricominciò una coniazione in argento di grandi dimensioni, dalle quale prese origine la fioritura del commercio frisone, ma in realtà fu solo con la riforma monetaria dei re carolingi Pipino e Carlo Magno che furono poste le basi della storia monetaria europea.

Non siamo però più in presenza di un sistema monetario evoluto come quello Romano, ma di uno rozzo e primitivo basato sull'argento. Carlo Magno difatti, una volta sconfitti i Longobardi, proseguì le riforme iniziate dal padre nel tentativo di restaurare l'antico Impero romano in Occidente (800) e cercò di dare ai territori assoggettati un sistema monetario unico. Ma essendo molto diminuito l'oro in Occidente attratto verso l'Islam e l'Impero Romano di Oriente, egli fu costretto a liquidare il sistema monetario basato sul solido d'oro dei romani e ad optare per un monometallismo argenteo.*


Sin dagli inizi dell'epoca barbarica difatti la rarità dell'oro in Occidente era evidente, si fabbricavano ancora oggetti o gioielli d'oro assottigliando il materiale, ma nelle monete d'oro diminuiva a vista d'occhio il contenuto di fino ed esse erano ormai solo un lontano ricordo di quelle coniate negli ultimi anni dell'Impero. Gli oggetti d'oro, tra cui le monete, erano sempre tesaurizzati e nascosti, ma esistevano ancora, rinchiusi soprattutto nei monasteri.

Carlo Martello, l'eroe di Poitiers, colui che nel 732 fermò l'avanzata araba in Europa, diede il nome alla dinastia carolingia, l’origine del termine merovingio è semimitologica.

Ritorno al baratto. Dopo il crollo dell'impero romano occidentale l'economia si era ridotta ai suoi componenti elementari, dal momento che l'industria e gli scambi commerciali erano quasi ridotti a zero. Ciò ebbe per conseguenza l'inizio della formazione della curtis feudale, dove il castello o il convento con i loro possedimenti terrieri divennero entità economiche indipendenti, in cui si produceva tutto autonomamente oppure si ricorreva agli scambi di beni in soprannumero. Della moneta si faceva a meno, questa era non solo la merce più rara ma anche la meno richiesta. Le poche monete d'oro dei re Merovingi, circolanti dopo la riforma monetaria carolingia del 781 furono accaparrate da istituzioni ecclesiastiche e laiche per conservarle nei propri tesori. Esse cambiavano proprietà solo in seguito a matrimoni o eredità, venivano fuse per trasformarle in oggetti ornamentali e servivano all'alta aristocrazia per pagamenti di carattere eccezionali. Le monete d'oro avevano perduto la loro funzione di denaro circolante, assegnata durante l'antichità classica per tornare a quella protostorica di beni da tesaurizzare.

Sulla questione carenza di oro in Occidente sono però necessarie delle precisazioni.

Con le riforme attuate da Carlo Magno nella penisola italiana tra il 781 e il 794 la libbra è trasformata nella unità del sistema monetale. Prima per tutta la penisola l'unità monetaria fondamentale era il solido d'oro con le sue frazioni, i tremissi. Carlo ruppe la tradizione ed estese anche qui la riforma monetaria che suo padre e lui stesso avevano iniziato nel regno franco e che re Aethelberto II e poi re Offa avevano attuato nei regni di Merci e di Kent (il sud dell'Inghilterra). In un primo tempo tra il 768 e il 793, Carlo coniò denari da 1,3 grammi di peso; a partire dal 789 però si diede a riformare anche il sistema. Si usò come piede monetario una libbra di 408 grammi di argento dalla quale si ricavavano 240 denari dal peso di 1,7 grammi, di cui 1,6 di fino.

L'uomo della strada riusciva anche raramente a vedere le monete d'argento coniate da Carlo Magno, la gente comune le prendeva in pagamento malvolentieri al punto che un decreto nel 794 ne dovette rendere obbligatoria l'accettazione. Come avveniva agli esordi dell'economia era più facile scambiare merci contro merci che non contro monete d'argento. Alcuni studiosi sostengono la tesi che la riforma era necessaria soprattutto nei territori appena conquistati a est come Baviera e Sassonia e in quelli verso il confine dell'Impero in cui abitavano tribù slave, come gli sloveni. Erano popoli con un uso sporadico della moneta e la legge mirava a renderne obbligatorio l'uso per trascinare anche essi all'interno del sistema monetario carolingio. La base per una moneta unica in Europa continentale.

Così presenta C.M.Cipolla il quadro storico.

Le riforme monetarie di Carlo Magno erano quindi avvenute nell'ignoranza e indifferenza generale eccettuato un gruppo di consiglieri reali. R.Nietsche arriva ad affermare che un contadino, se avesse avuto la fortuna di possedere un denaro, non avrebbe saputo come usarlo e l'utilità sarebbe stata nulla: "di una moneta si poteva farne suppergiù quello che si potrebbe farne oggi su un isola deserta".**

Ad una affermazione simile J. Le Goff opporrebbe la menzione tratta dal "Libro dei miracoli di San Filiberto" di un agricoltore che nell'anno 840 si recò alla fiera dedicata al santo e si bevve mezzo denaro di vino.

Con ciò si comprende la legge del 794 d.C. per rendere obbligatoria l'accettazione della moneta.

Inoltre che differenza con il sistema romano, lì monete d'oro, d'argento e di bronzo, qui una sola moneta sottile d'argento del diametro di circa 20 mm dal peso di circa 1,7 g con un titolo di circa 950 millesimi, rozzamente disegnata e dal nome riecheggiante i fasti di Roma: "Denaro".

Denaro coniato in pochi esemplari (tra i 15 e i 35 pezzi) in un’occasione ancora incerta, l’incoronazione (anno 800) o il riconoscimento bizantino dell’autorità imperiale (anno 812).*

Non vi erano nè multipli nè sottomultipli, sicchè per i pagamenti più consistenti si ricorse ad alcune unità di conto come il Soldo pari a 12 denari, e la Lira pari a 240 denari ossia ad una libbra (un valore di peso di 408 grammi) d'argento. Nasceva così, come moneta non coniata, la Lira, e veniva introdotto un sistema di conteggio della moneta fondato su lire, soldi e denari che sul continente europeo durò sino alla rivoluzione francese.

Possiamo dedurre direttamente dalle iscrizioni sulle monete (ex metallo novo) che si erano
allora effettuate nuove scoperte di metallo nobile. Ed è stato chiaramente domostrato che sia
presso Melle, nel Poitou, le miniere d'argento davano allora una resa più elevata, sia in Germania erano sfruttate delle miniere d'argento; l'iscrizione di varie monete "Metall. German." lo
dimostra in modo particolare. ( cfr M. Prou, Soetbeer)

Vi fu inoltre una significativa rivoluzione nell'iconografia, si persero le rappresentazioni di ritratti e figure, al centro del tondello vi era invece un monogramma, simbolo dell'autorità imperiale, in quale diverrà l'astratta sostituzione del ritratto del sovrano. Le scritte saranno da allora per lungo tempo, la parte dominante della moneta per per questo scopo la lavorazione del conio si basò completamente sull'uso di punzoni; inoltre solo da questa epoca si sostituisce il bronzo col ferro per la creazione dei conii; lo provano le stesse monete.***


 

La riforma raggiunse però alcuni importanti obiettivi, dimostrando una forte attenzione per l'unione formale dell'Impero e una discreta pianificazione. Siamo quindi in presenza di un tentativo di dare al regno Franco, che stava crescendo in tutte le direzioni, un sistema monetario unico, indice di coesione e atto a semplificare il poco commercio restante. Il denaro era di peso superiore di circa il 30% a quello romano e ciò ne dava credibilità e importanza superiore alle monete dei regni precedenti. Soprattutto verso i paesi nordici questo cambiamento si mostrò come un forte segnale di potenza e stabilità e rese il denaro molto richiesto.

Alcuni storici sostengono inoltre che la contrazione del commercio non fosse così elevata come appare a prima vista, ma le sue direttrici si erano spostate dall'area mediterranea a quella scandinava e orientale, con esigenze quindi diverse: l'argento era lavvia molto apprezzato.

 

 

Se con i Merovingi la coniazione era polverizzata e si producevano monete senza il nome del sovrano, Carlo Magno vietò le coniazioni locali e nel 794 minacciò misure personali, fino alla fustigazione, per chi rifiutava di accettare monete coniate a nome del re e ne usava altre. Queste minacce non sortirono i risultati sperati e tuttavia Carlo ottenne che le coniazioni locali si facessero a nome del sovrano. Carlo cercò anche di stabilizzare i prezzi, fissandone il livello massimo per alcune categorie come gli alimentari di prima necessità, furono ridotte le tasse di trasporto, dei pedaggi e dazi doganali, furono regolarmente le riscossioni ed il commercio degli schiavi non proibito dalla chiesa.

Le zecche private presenti in alto numero, persino in piccole città o monasteri furono in gran parte chiuse e ne restarono attive solo una parte, soggette al diretto controllo imperiale, e obbligate tutte a coniare la stessa moneta. Un segnale di uniformità non più visto per secoli.

Tutta l’amministrazione dello stato era regolarmente tenuta in assemblee annuali delle gerarchie laiche ed ecclesiastiche, dette Placitus generale. Le deliberazioni di queste assemblee venivano prolungate sotto forma di norme dette Capitularia, ed il compito di divulgare tali norme fu assegnato a magistrati itineranti detti missi dominici i quali di solito agivano in coppia, un laico ed un ecclesiastico. Carlo Magno cercò anche di regolare i prezzi ma il suo tentativo fallì.

Divenuto Carlo Magno signore d’Italia nell’anno 774, con la disfatta di Desiderio, non si cambiò immediatamente il sistema monetario in Italia, dato che trascorsero otto anni circa prima che il denaro d’argento fosse introdotto nella Lombardia nel 782 e ventitré per Lucca nel 797. In Italia i Franchi usarono le Zecche di Milano, Pavia, Ravenna, Lucca, Firenze, Pisa, Parma e Treviso.

Che la coniazione della nuova moneta fosse regolata da una legge generale. ce lo dimostrano i contratti, anche colà ove i pagamenti erano facoltativi, con moneta di qualsiasi delle prime tre officine italiche, cioè di Pavia, di Milano e di Lucca «Denarios grossi et expendivilis de moneta de Pupia et Mediolano seu Lucana».

I romani Pontefici dovettero andare esenti da questa legge generale, perchè la zecca di Roma rimase sempre in loro potere e sotto la giurisdizione loro, e le monete che ivi si coniarono, benché fossero secondo la prescrizione stabilita dalla nuova legge, non ebbero corso comulativo come quelle delle suddette officine collegate, rimanendo per uso del solo ducato romano. Questo fatto conferma in parte l’opinione di coloro che negano ai re di Francia l’assoluta autorità sopra Roma. L’introduzione della nuova legge carolingia per Roma avvenne immediatamente dopo l’anno 800 con l’incoronazione e proclamazione di Carlo Magno a Imperatore dei romani.

La forma di conteggio lira-soldo-denaro era già in suo presso i popoli germanici e l'Inghilterra la introdusse in Polonia e Scandinavia.

I mercanti che commerciavano col Mediterraneo possedevano ancora monete d'oro: Flavio Barbiero e Marc Bloc citano il ritrovamento di uno scheletro nel fiume Reno presso la zona di Bologna, nella qui borsa erano presenti monete d'oro bizantine e arabe; probabilmente un mercante in viaggio. Nel Sud Italia infatti, legato e in parte posseduto dall'Impero bizantino circolavano monete diverse e si trovavano regolarmente quelle d'oro.

"Anche la Lira si è fermata a Eboli" è la famosa frase di Cipolla per descrivere questa situazione.

Per molti secoli la libbra ed il sol furono esclusivamente unità di conto, mentre solo il denier fu moneta reale, quindi coniata. "Per oltre 100 anni dalla nascita del denaro carolingio, non vi furono innovazioni di rilievo; esso mantenne inalterati il suo peso e la sua lega, e la Lira continuò a significare 240 denari." **

Le monete di Carlo Magno e dei suoi successori erano create con cura ma i tipi normali erano piuttosto scialbi: una croce, il monogramma imperiale, una basilica romana, oppure il nome  della zecca in caratteri nitidi sul fondo; raramente era inciso il ritratto dell'imperatore.  Il maggiore interesse di questi soggetti sta nel loro continuo uso durante molti secoli  e nella loro trasformazione dopo che si scordò il loro significato originale.****

Carlo e il figlio Lotario coniarono anche rare emissioni d'oro: a Lucca col nome di Carlo Magno, furono coniati tremissi d’oro di tipo e di peso eguali a quelli di Desiderio, emergendo da questo fatto che nessuna legge fino allora imponeva ancora all’Italia il cambiamento della moneta.

Non si deve quindi credere che l'adozione del monometallismo argenteo avesse escluso l'oro definitivamente della circolazione. In Italia furono coniati tremissi di Carlo Magno col tipo
longobardo e si ebbero anche deanri d'oro col suo nome coniati a Uzes in Occitania, del peso e del tipo di quelli d'argento nei quali si può riconoscere la materializzazione del soldo d'oro, equivalente
a 12 denari argentei e quindi con un rapporto di 1 a 12 tra i due metalli.
Di Ludovico il Pio non furono rari i soldi d'oro prodotti in Germania.

Carlo Magno morì nel 814 e ben presto l’unità dello stato si dissolse poiché i suoi successori non ne avevano né l’autorità né il carisma. In campo monetario ci furono tentativi di mantenere la centralizzazione delle emissioni; Carlo il Calvo nell’864 emise un editto che è il documento più antico del periodo medioevale sulla regolamentazione delle emissioni monetarie che ci sia giunto.

In base a tale editto oltre alle zecche imperiali ricevevano diritto di battere moneta anche otto città, tra cui Parigi, Rouen, Reims, Orleans.
Il Tesoro forniva l’argento il quale, dopo un certo tempo, doveva ritornare nelle casse reali sotto forma di moneta dietro il pagamento di una certa somma per la lavorazione. Nel caso in cui sullo zecchiere fossero caduti sospetti di ruberia, o per aver imboscato metallo o perché la lega della moneta non risultava quella dovuta, egli doveva dissiparli sottoponendosi al giudizio divino che consentiva nella prova del fuoco e dell’acqua bollente. Se il malcapitato non superava la prova, come di regola avveniva, gli veniva tagliata la mano poiché riconosciuto falsario.
L’aspetto della moneta era prestabilito: al diritto il nome del sovrano in leggenda circolare con al centro il monogramma del re, al rovescio indicazione della zecca ed al centro la croce.

 

Le prime svalutazioni iniziarono nel X secolo e il denaro perse valore. I primi Ottoni (961-973 e 973-983) misero ordine nel sistema consacrando lo slittamento del denaro in termini di peso e di fino: una "lira" (ossia 240 denari) passò da g 410 a g 330 di una lega argentea peggiore (da g 390 di argento fino a g 275).Dal secolo X con diminuzioni del peso o peggioramento della lega, quando non accaddero tutte e due le cose contemporaneamente. Verso il 1150 la situazione appariva in tutta la sua gravità: i denari erano ridotti ad una monetina talmente sottile, facile a piegarsi tenendola tra le dita.*****

"Quando la centralizzazione cedette il passo alla frammentazione feudale commercio ed emissione monetaria non si liberarono da dazi e balzelli poiché essi passarono nelle mani dei signori locali laici ed ecclesiastici, cioè duchi, conti ed arcivescovi. Ma dopo ogni notte, anche la più buia e profonda, sorge l’alba di un nuovo giorno."


Nei decenni successi la situazione continuò a peggiorare ed oramai rappresentava un freno al rinascere degli scambi e dei traffici commerciali. Saranno alcune città italiane e le Repubbliche Marinare a modificare lo scenario con la creazione di nuove monete di valore più alto e di stabilità decisamente superiore, atte a farle accettare su mercati internazionali sempre più ampi.

La Lira: "Un fantasma col piede d'argento" come la definì Carlo M. Cipolla.

 

* Durante l’asta Künker, svoltasi ad Osnabrück (Germania) dal 12 al 15 marzo, una moneta di Carlo Magno è stata venduta al prezzo record di 160.000 euro.
Si tratta di un denaro coniato in pochi esemplari (tra i 15 e i 35 pezzi) in un’occasione ancora incerta: l’incoronazione (anno 800) o il riconoscimento bizantino dell’autorità imperiale (anno 812). La moneta pesa 1,52 grammi e riporta, al dritto, il busto di Carlo Magno volto a destra e la legenda KARLVS IMP(erator) AVG(ustus). Al rovescio, invece, è raffigurato una croce racchiusa in un tempio tetrastilo e la legenda XPISTIANA RELIGIO. La base d’asta era di 30.000 euro; l’acquirente ha piazzato l’offerta per telefono e la sua identità non è stata resa nota.

 

* Fulvio Mastrangelo - "Tentativi di unione monetaria"

** Ronald Nitsche - "Alla scoperta della moneta"

*** Maurizio Piccioni - 1914

**** John Porteous - "Monete"

***** Carlo M. Cipolla - "Le avventure della Lira"